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La Settimana Sovversiva

Ciao! Questa Settimana Sovversiva tocca dei temi dolorosi. Vi prometto che, dopo avervi tirato un pugno alla bocca dello stomaco, si farà perdonare con un finale luminoso. In momenti come questi, frequentare alcune tristezze è il più sovversivo degli atti. Se dopo avermi letto volete un abbraccio, scrivetemi, e se oggi state facendo fatica, non vi giudicherò male se chiuderete questa mail. Detto questo, l'ho scritta col cuore. Vi ho avvisatx. <3

Vivo a Milano in zona Stazione Centrale. Le stazioni delle grandi città, da sempre, attirano un vasto campionario di persone in difficoltà. Non è un caso. Il primo consiglio che viene dato a chi si trova senza tetto, lavoro, documenti e quant’altro è investire i pochi soldi rimasti per raggiungere in autobus o treno la metropoli più vicina, perché solitamente sono presenti strutture di accoglienza e organizzazioni che operano nella solidarietà. È vero, ma purtroppo non basta. Il disagio è troppo e trabocca.

Camminando per il quartiere vedo tanta miseria. Prima che il sindaco Sala, con i suoi calzini arcobaleno, mandasse la polizia a buttare nella spazzatura coperte e scatoloni, c'era una comunità di senza fissa dimora che trovava rifugio sotto il ponte della stazione. Un posto chiassoso, con un aria irrespirabile per il continuo passaggio delle auto. C'è chi cerca un porto sicuro nei sottopassi della più bucolica Martesana, chi si lava alle fontanelle, chi va in giro con aria smarrita, stanca, a volte impaurita. C'è chi cerca di difendere la sua dignità e chi, sconfitto dall'indifferenza, cerca conforto in qualsiasi piacere momentaneo lo possa mandare lontano. Mi chiedo spesso cosa farei io, se fossi in quella situazione. Credo che sbronzarmi di vino rosso in cartone diventerebbe un'opzione molto più invitante di quanto lo sia adesso.

È ovvio che vedere tutto questo mi fa male, ma non è quello che mi fa realmente soffrire. L'estate scorsa, in una giornata di sole perfetta, stavo tornando a casa tutto felice, dopo un concerto andato benissimo. A casa mi aspettava la mia bella cucina, dove mi sarei cucinato qualcosa di buono per poi godermi un pomeriggio di relax, aspettando un amico per cena. Avete presente quei momenti perfetti in cui la vita è proprio bella? Ecco.

Attraversando la strada ho visto, appena fuori da un kebabbaro, una persona con gli occhi del bisogno. Il lato più disumano del capitalismo ci ha insegnato a riconoscerli all'istante: quando qualcuno sta per chiederci qualcosa, ce ne accorgiamo per istinto. Mentre mi avvicinavo, ho visto un uomo della mia età evitare quello sguardo con una destrezza quasi atletica. Un gesto consumato, eseguito alla perfezione, per non incontrare quegli occhi ed essere costretto a interagirci. Un dribbling all'empatia, una veronica per smarcarsi da una realtà che fa male e raccontarsi qualsiasi bugia serva a tirare dritto.

A non farsi rovinare la giornata.

Incrociai lo sguardo di Alì, che fino a pochi istanti prima non conoscevo. Oltre al bisogno, vidi nei suoi occhi l'umiliazione di essere invisibile, di essere una cosa brutta che i passanti preferiscono ignorare. Mi spezzò il cuore. Ci penso ogni volta che passo da quell'incrocio. Alì aveva semplicemente fame. Gli chiesi come potessi aiutarlo e mi rispose che non mangiava da tanto e che gli sarebbe bastata qualche moneta per comprarsi un panino. Siamo entrati, ho ordinato un falafel per me e un menù per lui. Abbiamo fatto due chiacchiere e gli ho comprato qualcos'altro da portare via, per cena. Poi io e Alì ci siamo salutati e siamo tornati alle nostre rispettive vite, così crudelemente diverse.

Non era la prima volta che facevo qualcosa di simile, ma l'esperienza mi toccò nel profondo. La parte più fredda e razionale di me mi diceva che sì, avevo fatto qualcosa di buono, ma che non avevo cambiato niente, nel grande schema delle cose. Quella parte odiosa del cervello mi dice anche oggi che non posso salvare tutti gli Alì del mondo, e che a ben vedere non posso manco salvare Alì. Da dove sarebbe arrivato il suo prossimo pasto caldo? E poi diciamocelo, posso permettermi di offrire il pranzo a uno sconosciuto, ma non di farlo tutti i giorni. Se avessi i soldi di Jeff Bezos potrei, ma le creature oscenamente ricche come lui esistono solo grazie all'egoismo. Io, pur nel mio relativo agio, non ho il lusso di poter dare soldi a chiunque incontri. La beffa è che qualsiasi piccolo atto di generosità in questa direzione ci mette davanti a una realtà tremenda: il problema è sistemico e per risolverlo dobbiamo ripensare il funzionamento della nostra società. Al netto di tutte le mie buone intenzioni, io stesso traggo beneficio da quel sistema. In un certo senso ne sono persino complice. Credo sia per questo che tendiamo a evitare lo sguardo di ci dice "ho sete, ho fame". È un meccanismo di difesa, in tutto e per tutto simile a quello che ci fa spostare la mano perché il fuoco scotta. Il fatto che la gente tiri dritto non mi stupisce, ma mi fa malissimo. Nel signore che ha schivato Alì ho visto l'opposto della vita: un riflesso che ci dissocia da una realtà dolorosa, che ci manda lontano. Ironicamente, scappiamo dalla realtà proprio come gli ubriaconi e i drogati che siamo sempre così pronti a giudicare. Viviamo la stessa disperazione, solo che noi abbiamo il lusso di fare finta che non esista.

Temiamo la vicinanza, perché sappiamo benissimo che più frequentiamo quella realtà, più sarà difficile fare finta che vada tutto bene.

Poi ha preso la parola il cuore. Certo che non posso offrire pranzi a destra e a manca, ma qualcuno, ogni tanto, posso offrirlo. Non faccio i conti in tasca a nessuno, specie di questi tempi, ma so con certezza che Milano è piena di persone nella mia stessa situazione. E se offrire da mangiare a chi ha fame fosse una consuetudine, una cosa comune e quasi ovvia da fare? Forse non basterebbe comunque, ma le condizioni materiali di tante persone cambierebbero. Inoltre, come posso agire in maniere più concrete, a livello sistemico, se distolgo lo sguardo dal problema? Il cervello lo razionalizza, ma il cuore lo capisce per davvero. Quel gesto di umanità verso Alì ha fatto più bene a me, perché ha risvegliato queste consapevolezze. La situazione è dolorosa, ma la bugia che ti assolve perché "purtroppo il mondo è così" brucia infinitamente di più. Ce la portiamo appresso e ci avvelena quotidianamente, con un microdosing di indifferenza. E visto che viviamo la stessa disperazione, quell'indifferenza è anche verso noi stessx. Ci insegna ad ascoltarci di meno e a soffocare l'empatia. Sono convinto che ci faccia più male della dura realtà.

È per questo che odio il termine "beneficenza". La beneficenza si fa dall'alto e mantiene una comfortevole distanza tra noi e il problema. Doniamo a delle cause che ci fanno sentire nobili, ci diamo una pacca sulla spalla e non dobbiamo gestire il fastidio esistenziale di avvicinarci alla realtà umana dello status quo, quella dove la gente soffre. Lungi da me sparare sulle organizzazioni umanitarie: sostenetele, se potete. Però il vero atto rivoluzionario è il mutuo aiuto, che quella distanza la disintegra, perché parte dal concetto che siamo tuttx sulla stessa barca e che aiutando aiutiamo anche noi stessx. Non è una frase da Bacio Perugina o filosofia spicciola da Smemoranda. Migliorando la vita delle persone che ci circondano miglioriamo anche la nostra. Se tuttx praticassimo il mutuo aiuto, incontrare lo sguardo di Alì non sarebbe così terrificante e la realtà in cui vivremmo sarebbe meno dolorosa, anche per noi. Fare qualcosa, qualsiasi cosa, rende molto più facile affrontare questo mondo crudele. L'alternativa è rassegnarsi al fatto che tutto sia destinato a peggiorare e che l'unica cosa che possiamo fare è abbassare la testa. Cedere al realismo capitalista ci ammazza l'anima.

Dopo questo lungo preambolo, arrivo finalmente al punto. C'è un'altra situazione che ci fa male, che vediamo sui giornali tutti i giorni: il genocidio nella Striscia di Gaza. Conosco troppe persone che, come il signore del dribbling, riescono a distogliere lo sguardo e fare bellamente finta di niente. È esattamente la stessa cosa, solo che al posto della gente che dorme sotto i ponti di Milano ci sono famiglie sotto le bombe. Ho contribuito a vari benefit, ho donato quando ho potuto, ma non ho mai avuto il coraggio di colmare quella distanza, di passare dalla beneficenza al mutuo aiuto. Quando ho mangiato un falafel con Alì lui ha smesso di essere una statistica ed è diventato una persona vera, alla quale non ho mai smesso di pensare. L'idea di avvicinarmi di più alla realtà di Gaza mi fa paura, perché il dolore che già ho provato in questi mesi diventerebbe improvvisamente più nitido e definito, come se passasse dalla bassa all'alta risoluzione, che permette finalmente di distinguere i volti. Per fortuna, oltre alle grandi organizzazioni umanitarie, ci sono anche realtà come Watermelon Friends, che aiutano direttamente singole famiglie o persone. Se vi va, ditemi tutte quelle che conoscete e le condividerò nella prossima Settimana Sovversiva.

La mia amica Lavinia, dall'inizio della guerra, aiuta una persona di nome Mahmoud, che cerca di sopravvivere a Gaza con la sua famiglia. Non è questa la sede per raccontarvi i problemi di Mahmoud, anche perché tutto voglio fuorché far leva sulla pietà, ma potete immaginare le sfide che affronta quotidianamente. Vi basti sapere che è una persona stupenda, che come noi ama i suoi cari.

Ammiro molto Lavinia perché ha avuto il grande coraggio di colmare la distanza di cui sopra. Nel momento in cui non aiuti una causa, ma una persona, questa diventa improvvisamente reale. Smette di essere la generica idea di un popolo oppresso e diventa un essere umano con cui ti scambi parole, pensieri, emozioni. L'idea di affezionarsi a una persona che da un giorno all'altro potrebbe scomparire è terrificante. Mi chiedo sempre come farei a dormire di notte se là ci fossero mia mamma e mio papà. Eppure, proprio come dissociare la mente dalla realtà delle nostre strade alla lunga ci avvelena e ci disinnesca, tenere lontana una delle più grandi tragedie del secolo non può che farci male. Toccare con mano e fare qualcosa di concreto, anche se piccolo, ci restituisce quella stessa umanità che soffochiamo quando cerchiamo di fare finta di niente. Voglio farlo, ed entrare nella squadra che si prende cura di Mahmood mi sembra il modo perfetto.

Non posso schioccare le dita e fermare la guerra, ma posso fare qualcosa di concreto affinché una famiglia abbia una rete di solidarietà. È lo stesso discorso: non posso risolvere tutte le ingiustizie di Milano, ma posso offrire qualche panino e migliorare anche solo una singola giornata. Se lo facessimo tuttx, se fosse la cosa più ovvia e naturale, vivremmo in un mondo diverso. È un pensiero che mi dà speranza.

Non sono bravo a chiedere soldi, quindi mi limito ad annunciarvi i miei piani. Con circa 500 euro al mese potremmo garantire una casa sicura e cibo alla famiglia di Mahmoud. Ce ne vorrebbero di più, ma già questo farebbe la differenza. Per motivi burocratici che non sto a spiegarvi qui (ma che sarò felice di raccontare nel dettaglio a chiunque vorrà aiutarmi), in questo momento il modo più efficace è mandare soldi su Paypal. Io donerò direttamente a Mahmoud, come fa Lavinia con la sua complice Sabrina. Se volete contribuire, potete mandare dei soldi a me, a loro, o se preferite e me lo chiedete, anche direttamente a Mahmoud. In generale, sarò felice di darvi tutti i possibili dettagli in privato.

Visto che ci metto il cuore, tanto vale metterci anche il resto del corpo. Se deciderete di unirvi a questa piccola impresa di mutuo aiuto, avvicinandovi a vostra volta o usando noi come tramite, non solo vi sarò grato, ma farò tutto quel che posso per voi. Mi spiego.

Non sono ricco come Jeff Bezos, ma posso darvi un po' del mio tempo. Volete un mio concerto a casa vostra, nel vostro locale, nel vostro giardino? Scrivetemi e facciamolo succedere. La vostra donazione sarà il mio "cachet" e andrà tutto a Gaza. Volete che venga a parlare, a farvi una serata di retrogaming? Io ci sto. Se volete, nei ragionevoli limiti della logistica, vengo pure a cucinare a casa vostra. Vi giuro che cucino bene! Posso offrirvi anche le mie altre competenze: volete una consulenza su un progetto musicale, sulla comunicazione di un progetto, su una traduzione? Vi metto a disposizione le cose che so fare. E ovviamente, se deciderete di attivarvi in prima persona, magari organizzando un evento benefit, farò tutto ciò che posso per aiutarvi.

Se volete cominciare subito, il mio Paypal è qui. Se donate qualcosa, scrivetemi! Il mutuo aiuto è potente perché ci connette non solo alle persone che ricevono l'aiuto, ma anche alle altre che lo praticano. Avviciniamoci. E, già che ci sono, vi darò i codici per scaricare in altissima qualità tutta la mia musica. Magari non me ne frega niente, ma potete anche regalarli!

Vi ringrazio di cuore per avermi letto fino a qui, e oggi più che mai non vedo l'ora di sentire cosa ne pensate. La mia mail è sempre kenobit@protonmail.com. Rifiutare il concetto per il quale "le cose vanno così e non ci possiamo fare niente" è un atto squisitamente sovversivo. Anche se è un mondo difficile, nulla può negarci il nostro raggio di luce.

In quest'ottica, vi segnalo l'uscita nell'archivio gratuito di Robin Book Gang di "Fa' che questo ti radicalizzi", un libro importantissimo, che affronta gli stessi temi di questa mail, ma infinitamente meglio.

Vi voglio bene.
Buona Settimana Sovversiva!
Kenobit

CONCERTI ED EVENTI

19 aprile - Castel di Lama - Chiacchiere e musica al Kasì

26 aprile - Beatnik, Campobasso - Combo chiacchiere e poi concerto!

27 aprile - Bari (info in arrivo)

Zona Warpa:
17 maggio, MACERATA, Sisma
21-22 giugno, TORINO, CSOA Gabrio
4-5 luglio, ROMA, CSOA Forte Prenestino
20-21 settembre, MILANO, Cascina Occupata Torchiera

Buona Settimana Sovversiva! Come sempre, se volete rompere il muro della socialità online, potete scrivermi a kenobit@protonmail.com!

La Settimana Sovversiva
illustrazioni di Gianluca Folì