Credo nel potere delle sfumature lessicali. Pensiamo sempre che le parole si limitino a prendere la forma dei nostri pensieri, ma in realtà succede anche il contrario. A volte danno forma ai nostri pensieri, soprattutto a quelli inconsci, specie quando le usiamo con il pilota automatico, per abitudine. Del resto, anche la lingua che usiamo è un’espressione dello status quo. Usiamo le parole che ci insegnano, quelle che entrano nella consuetudine, e quelle scelte spesso riflettono la struttura del mondo in cui viviamo, anche se non ce ne accorgiamo.
Ogni tanto rimettere in discussione le parole può essere un atto liberatorio, che ci dona una bussola per orientarci tra il significato e il significante.
La parola che voglio mettere sotto il microscopio oggi è “beneficenza”.
Se nelle ultime due settimane non avete ricevuto questa newsletter, è perché sono stato impegnato a tempo pieno dallo Scanlendario, un calendario giunto alla sua quinta edizione, che curo insieme a un gruppo di amici speciali. Quest’anno il successo del progetto è stato travolgente: in meno di sei giorni abbiamo venduto tutte le 500 copie della tiratura e abbiamo raccolto più di 7000 euro per Nonna Roma, un banco del mutuo soccorso attivo nella capitale, che vi invito a scoprire tramite il suo sito.
In tutta la comunicazione non abbiamo mai usato il termine “beneficenza”, preferendo parlare di mutuo aiuto o mutuo soccorso. La differenza è cruciale.
Il concetto di beneficenza nasce in ambito cristiano, come invito ai ricchi ad aiutare “i bisognosi” (altra parola che potremmo smontare), con l’elemosina e la carità, atti che vanno dall’alto verso il basso. Sono concetti ben radicati nel nostro immaginario, che ritroviamo anche nel celebre Canto di Natale di Charles Dickens, dove il vecchio Scrooge viene convinto da un’apparizione ectoplasmica a condividere con i pezzenti qualche briciola della sua oscena ricchezza, accumulata proprio sulle spalle dei pezzenti di cui sopra.
Storicamente, la beneficenza è stata anche un dispositivo per evitare che le vittime dello sfruttamento stessero troppo male, o se non altro abbastanza male da ribellarsi ai loro gioghi. Ne parlava Oscar Wilde, in un breve saggio che vi consiglio di recuperare:
They are ungrateful, discontented, disobedient, and rebellious. They are quite right to be so. Charity they feel to be a ridiculously inadequate mode of partial restitution, or a sentimental dole, usually accompanied by some impertinent attempt on the part of the sentimentalist to tyrannise over their private lives.
Vi traduco questo passaggio, che commenta chi ha la faccia tosta di non accontentarsi dell’obolo dello Scrooge di turno.
Sono ingrati, insoddisfatti, disobbedienti e ribelli. E ne hanno ben donde. Per loro la carità è una forma di restituzione parziale, tragicamente inadeguata, o un’elemosina sentimentale, solitamente accompagnata da uno sfacciato tentativo di tiranneggiare sulle loro vite private.
Se mai avete detto o pensato “Se gli do due euro se li spende in vino o droga”, potrete senza dubbio rivedervi in quel tiranneggiare.
Quel tipo di beneficenza è un atto verticale che non risolve il problema di chi aiutiamo, bensì il nostro. Vedere una persona che ha fame, soffre e vive in mezzo a una strada ci ricorda l’ingiustizia del sistema in cui viviamo, sottolinea la sua violenza insensata e ci suggerisce timidamente che anche noi, al netto delle nostre difficoltà, siamo conniventi. Certi atti di beneficenza sono come premere il tasto “Snooze” della sveglia che ci dice che è il momento di rimettere in discussione tutto.
Sono un cerotto di Peppa Pig sopra una ferita sanguinante.
Per questo amo i termini mutuo aiuto, mutuo soccorso, mutuo appoggio. Analizziamo le implicazioni della scelta lessicale: mutuo aiuto vuol dire che io aiuto te, e tu un domani potresti aiutare me. Non sono io sul mio trono che lascio cadere qualche spicciolo verso il basso, siamo tu e io, unite da un ideale di uguaglianza, che interagiamo tra pari.
Oltre a ripristinare la dignità di chi riceve, questa scelta lessicale ci spinge verso un’ulteriore consapevolezza. Aiutando te, aiuto anche me stesso, perché siamo una collettività. Anche se in questo momento non ho bisogno di usufruirne, praticando il mutuo aiuto contribuisco a una società più giusta anche per me. Una società dove quando avrò bisogno potrò chiedere, nella quale non avrò più l’impulso di distogliere lo sguardo quando vedrò qualcuno che mi dice “Ho fame.”
Mi piace questo modo di pensare perché implica che non ci sia azione troppo piccola e ci assolve dall’assurda pretesa egomaniaca di poter cambiare il mondo con un nostro singolo gesto, e dalla sua nociva controparte: “Se non cambio il mondo, allora tanto vale non fare niente.”
So che questo cambiamento può sembrare lontano anni luce, ma il mutuo aiuto è un metodo, una forma mentis, uno stile di vita. Praticarlo fa bene, in tutti i sensi.
Volersi bene in un mondo cattivo è un atto sovversivo!
Se volete approfondire questo tema, vi consiglio Il mutuo appoggio: un fattore dell’evoluzione di Kropotkin, libro datato ma ancora attualissimo, in questi tempi di darwinismo sociale.
Buona Settimana Sovversiva!
Kenobit
P.S. Precisazione: il fatto che io creda nel mutuo soccorso organizzato non vuol dire che non aiuti chi mi chiede una moneta in mezzo a una strada. Possiamo (e dobbiamo) fare entrambe le cose, ma è importante ragionare sulla differenza ideologica.
In questi tempi di fuga da X, inquinato irreparabilmente da Elon Musk, c'è chi sta valutando di andare su Bluesky o su Threads. Personalmente, la trovo una follia.
Il perché lo racconta benissimo Cory Doctorow, in questa riflessione in inglese.
Penso che la risposta sia nel software libero e nella decentralizzazione, ossia nel Fediverso. Se volete fare i vostri primi passi su Mastodon e non sapete da dove cominciare, ho scritto una mini guida su Livello Segreto. Se volete, ovviamente, www.livellosegreto.it vi aspetta a braccia aperte.
"The Vegans", di Lorenzo Florissi, anche noto come OSC.
Per oggi è tutto!
Buona Settimana Sovversiva,
Kenobit