Oggi è il mio compleanno! Colgo l'occasione per ringraziarvi dell'affetto e della partecipazione con cui state accogliendo la Settimana Sovversiva. Mi rende davvero felice. Il regalo che mi sono fatto quest'anno è ripensare il mio rapporto con lo smartphone, finendo di fatto per ripensare lo smartphone stesso. L'esperienza è illuminante e mi sta facendo molto bene. Mi sembra quasi curativa, e forse lo è davvero. Per questo ho pensato di documentarlo, affinché possa ispirare altre persone. Dopo aver stabilito le premesse, vi racconterò gli esiti dell'esperimento che sto facendo su me stesso. Sono emozionato, così tanto che ho subito iniziato a scrivere. Vi invio la bozza del post che pubblicherò domani sul mio blog. Se volete una presentazione più rapida, ho fatto un piccolo video con un tour del nuovo assetto del mio telefono. Lo trovate su videoteca.kenobit.it.
Sarei felicissimo di sapere cosa ne pensate. Scrivetemi pure! A proposito, ero in vacanza e ho un po' di vostre email a cui rispondere. Scusate per l'attesa, piano piano rispondo a tuttx.
Negli ultimi anni ho intrapreso un percorso di ricerca della libertà, informatica e non, spinto dal disagio che mi ha creato il capitalismo digitale. Ho realizzato che siamo vittima degli strumenti che utilizziamo, senza porci troppe domande, e ho deciso di smontarli e metterli in discussione.
Non è stato un cambiamento istantaneo. Facendomi domande e leggendo lavori scritti da persone che ci hanno ragionato prima di me (tra i quali cito sempre Cronofagia, di Davide Mazzocco), ho lentamente sviluppato un serie di consapevolezze, che mi hanno portato a scelte che ne hanno accese altre, innescando un cammino rilassato, ma costante. È stato ed è una gioia, perché è un tema estremamente affascinante, a mio avviso cruciale per decifrare ciò che ci circonda. Mi fa sentire più libero, ed è una cosa impagabile.
Prima ho relegato in un ruolo marginale le piattaforme commerciali, grazie a Livello Segreto e al Fediverso, e poi con un po' di impegno e curiosità ho lentamente abbandonato l'ecosistema di Windows, passando a GNU/Linux e al software libero. Tutto molto bello, ma purtroppo manca il pezzo più importante: lo smartphone che porto sempre con me, intorno al quale orbita buona parte della mia vita digitale. Se mi porto una gabbia in tasca, quella libertà sarà sempre una chimera.
Il mondo degli smartphone è una giungla, dominata da Apple, Samsung, Google e affini. È un terreno insidioso, perché ci ruba pezzetti di vita in maniera insidiosa, anestetizzandoci con comodità che si rivelano spesso catene. Se vogliamo opporci, dobbiamo affrontare una battaglia difficile, disperatamente asimmetrica, contro colossi che in questo momento si stanno litigando l'accesso alle nostre vite, nemmeno troppo sottilmente. Ci stanno trattando come dati, come animali da profitto. Sono l'antitesi della mia idea di libertà.
Ne ho parlato di recente, nella Settimana Sovversiva, riflettendo su come "il rettangolo che mi porto in tasca" mi faccia vivere una dinamica di tossicodipendenza con la dopamina. Vi invito a recuperare il discorso, che è di fatto il prequel di questo post.
Ho una tesi, un obiettivo, un modus operandi e un piano. Ve li racconto.
Il modo in cui sono progettati gli strumenti che utilizziamo non è neutrale. Il design di un oggetto, analogico o digitale che sia, detta l'uso che ne facciamo. È un linguaggio potentissimo e come tale può essere usato per manipolare.
I nostri smartphone non sono progettati per ottimizzare la qualità delle nostre vite, ma per insinuarsi in ogni piega delle nostre giornate. Sono pieni di app che monetizzano il nostro tempo, trasformando la nostra preziosa attenzione in spazi pubblicitari, tra l'altro funzionali al mantenimento del consumismo che tiene in piedi tutta la baracca.
Con strumenti così, possiamo stupirci di come la nostra collettiva capacità di concentrarci si stia sgretolando?
Lo smartphone è il cavallo di Troia del capitalismo. L'abbiamo lasciato entrare nelle nostre vite e ora è diventato la chiave di volta di un sistema che si nutre del nostro tempo e delle nostre passioni. Non ci fa bene e ce ne stiamo rendendo conto, ma non riusciamo a smettere.
Dobbiamo ripensare il nostro rapporto con gli smartphone. Non possiamo raggiungere la libertà indossando volontariamente delle catene digitali.
Voglio avere voce in capitolo nel design del mio smartphone, affinché dia priorità al mio benessere e alla mia serenità. Cosa succede se rimuovo i software che mi spiano e mi manipolano e li sostituisco con software libero, trasparente, senza secondi fini?
La mia tesi: uno smartphone basato sul software libero e progettato intorno al rispetto del mio tempo avrà un effetto positivo sulla mia vita e mi libererà dalle dinamiche tossiche di cui sopra.
Sono convinto che sia una battaglia più strategica e cruciale di quanto sembri. Proverò a dimostrarlo sperimentando su me stesso.
Per liberarsi dalle catene, prima di tutto bisogna imparare a riconoscerle. La cosa più subdola del capitalismo digitale è che ha spesso un volto amico, che spaccia le catene per comodità e liquida i suoi problemi strutturali come "mali necessari". Invece di farci dono della sua complessità, la usa come barriera, affinché i suoi meccanismi appaiano chiari solo a chi possiede il sapere per decifrarli. Riappropriarci della complessità è un passo fondamentale, e posso garantirvi che farlo è una ventata di freschezza. Non ero così emozionato dall'informatica dai tempi del mio primo 486.
Dicevo, voglio osservare tutte le catene e studiare a cosa sono collegate. Non voglio escluderne nessuna.
Per questo, ho deciso di adottare un approccio massimalista, partendo dall'idea di non accettare compromessi sulla mia privacy, sull'etica e sulla protezione dei miei dati. Alcune delle misure potranno sembrarvi estreme, e sarò il primo a dirvi che ci sono alternative più prêt-à-porter, ma adottarle mi permetterà di capire con più esattezza la realtà con cui ci dobbiamo confrontare.
Si tratta di uno studio, per molti versi, anche perché non sono un programmatore, un sistemista, un esperto di informatica. Sono, come il 99% della popolazione mondiale, una persona che usa quotidianamente dispositivi ma non ne conosce il funzionamento nei minimi dettagli. Da un lato, il messaggio è che "non serve essere un genio dell'informatica per essere liberi", dall'altro è che scontrandomi con le cose che non capisco troverò le parole per poi spiegarle a chi deve affrontare i miei stessi ostacoli.
Partendo dalla mia esperienza personale, quella di un content creator che da anni fa musica, stream e deve promuovere eventi e concerti. Dei social network, almeno per il momento, ho bisogno.
La domanda che pongo, alla quale voi potrete dare una risposta diversa dalla mia, è...
Che cos'è uno smartphone? Nel senso, cosa voglio che faccia il dispositivo che porto con me? Voglio che sia solo uno strumento? Voglio che sia anche un portale sul mondo? Voglio che mi tenga in contatto con i miei cari? Voglio che sia il nexus della mia vita? Voglio usare? Voglio essere usato?
La cosa che mi ha colpito, mettendo sotto la lente di ingrandimento il mio rapporto con il device, è che mi sono sentito dipendente, nel senso più tossico del termine. Ho ripercorso gli ultimi anni e ho constatato come avere in mano lo smartphone sia diventato un vizio, che all'inizio mi dava piacere, ma che ora consuma sempre più le mie giornate, colonizzando ogni momento di solitudine con me stesso. Ho fatto un esame di coscienza e ho ammesso a me stesso che il mio rapporto con lo smartphone, così tragicamente diffuso, ha tutte le caratteristiche di una dipendenza malsana.
So che mi fa male, ma continuo a farlo. Mi sembra un ciclo maledetto e voglio spezzarlo.
Quindi, la risposta che do è:
No alla reperibilità infinita. Voglio che il mio telefono sia un modo per contattare direttamente e rapidamente le persone importanti della mia vita. Non voglio che, per esserlo, sia anche un giogo che mi lega alla reperibilità, che sia per il lavoro o lo svago. La reperibilità istantanea è la più grande fregatura che abbiamo accettato, col sorriso sulle labbra, scambiandola per un regalo. Non voglio fare l'eremita, ma sento il bisogno di rivendicare spazi di noia, di osservazione, di solitudine con me stesso, senza che un mare di notifiche mi tiri per la collottola. Non c'è nulla, di ciò che mi arriva su WhatsApp, che non possa aspettare che torni a casa, o che abbia un momento di quiete. Voglio differenziare la mia reperibilità. Non voglio che il mare delle notifiche abbia lo stesso accesso a me che ha mia mamma. E già che ci siamo, non voglio che le notifiche siano un mare, anche perché a un certo punto diventano opprimenti, in alcuni casi addirittura ansiogene. Non so per voi, ma per me la misura è colma. Voglio rimettere in discussione i miei spazi e le mie priorità. Il design del mio telefono dovrà riflettere questo desiderio.
No al Luna Park in tasca. Vi è mai capitato di prendere il telefonino per controllare che ore sono, per poi trovarvi ad aprire un'app, quasi senza pensarci? Non è un caso. Gli smartphone, che di fatto sono computer fatti e finiti, possono fare di tutto. Possono diventare televisione, radio, mappa, bussola, contapassi, videogioco, eccetera. Il fatto che possano farlo, non vuol dire che debbano. Le app delle piattaforme commerciali che ci strizzano l'occhiolino con le loro icone colorate, sono ottimizzate per aumentare il tempo che gli dedichiamo, perché è quel tempo che monetizzano. Il servizio che ci offrono sarà sempre in secondo piano. Se mi porto un Luna Park in tasca, pieno di monodosi di dopamina fatte su misura per me, finirò per perdermici dentro. Voglio essere presente a me stesso e vedere le cose che attraverso. Immagino lo smartphone come uno zainetto: voglio metterci dentro la roba che mi serve, non di più, altrimenti poi pesa troppo.
Non voglio essere sfruttato e voglio la mia privacy. Voglio sentirmi libero. Il percorso di studio di questi temi mi ha fatto realizzare la portata dei dati che regaliamo, spesso senza saperlo, ai colossi del capitalismo digitale e agli altri sciacalli della loro guisa. È più di quanto si pensi. Penso che sia un meccanismo inquietante, oppressivo, e so che mi rende infelice. Può sembrarci di non cedere niente, in cambio di qualche millantata comodità, ma stiamo accettando di essere sfruttati, anche se in un modo quasi invisibile. Penso sempre che i dettagli invisibili siano ciò che cambia il mondo, quindi voglio dire no. Per svincolarmi dai meccanismi predatori di questi strumenti, devo innanzitutto smettere di usarli, o se non altro prendere provvedimenti per limitarne l'uso, circoscrivendolo a contesti ben precisi. Dall'altro, voglio usare nuovi strumenti, realmente nostri, liberi, open source, trasparenti. Sono già disponibili e usarli è la cosa più radicale che possiamo fare per diffonderli. Per essere uno strumento di libertà, il mio smartphone dovrà avere al centro il software libero.
Non vedo l'ora di finire di scriverlo. Vi interessano questi temi? Vi piacerebbe un evento nel mondo reale per iniziare questo viaggio, con l'aiuto di chi l'ha già intrapreso? Come sempre, non vedo l'ora di leggere cosa ne pensate.
Rimettiamo in discussione tutto!
Buona Settimana Sovversiva!
Kenobit